Commenti Vangelo » Misericordia Io voglio! – Commento al vangelo – Don Gabriele Nanni 24.4.2022

Gv 20,19-31

L’istituzione della Festa della Divina Misericordia, voluta da Gesù ed espressa attraverso Santa Faustina, fu proclamata, finalmente, da Giovanni Paolo II che la pose come Liturgia della Chiesa Cattolica proprio la Domenica seguente a quella della Pasqua, esattamente come Gesù dettò alla Santa polacca. Così la Divina Misericordia si comprende propriamente dal significato della posizione liturgica, poiché la Legge della Liturgia è ciò che dobbiamo credere (Lex orandi: Lex credendi). Poiché l’opera della salvezza operata da Dio Padre si estende a tutta la storia della umanità e si compie con il Figlio sacrificato sulla croce e risorto, possiamo comprendere che il giorno della Divina Misericordia non è una Festa che esaurisce il mistero della salvezza, ma lo celebra in un giorno che è strettamente collegato con la Pasqua e con i fatti che avvennero in quel giorno a Gerusalemme, otto giorni dopo la Risurrezione del Signore. La luce che proviene da quei fatti ci fa comprendere molte cose del Mistero della salvezza, ossia della Misericordia in relazione alla volontà del Padre e del Figlio e la nostra condizione. Infatti, quello che con chiarezza appare ai nostri occhi è la durezza degli apostoli che non credono alla risurrezione, perché non accettano la morte del Messia, e quindi la risurrezione non è comprensibile. Rifiutando il mistero della morte come necessaria per il Cristo, gli apostoli, e noi con loro, non riescono ad accettare neanche la risurrezione. Il vincitore sul male e sulle ingiustizie, il vendicatore dei poveri di Dio non poteva essere lo sconfitto dal potere satanico e tantomeno dagli uomini malvagi. La prospettiva della vittoria terrena del Messia agli occhi dei discepoli era stata spazzata via, perciò non aveva senso parlare di vittoria sulla morte per mezzo della risurrezione. Di fatto il Cristo era apparso alle donne e ai due di Emmaus, ma non agli apostoli. Anche questo lasciava perplessi gli undici rimasti fedeli, ma stravolti dai fatti. Lazzaro era tornato da morte, ma questo non faceva di lui un immortale e tantomeno un vincitore, la stessa cosa poteva essere per Gesù risorto, come Lazzaro, rimaneva un perseguitato, uno sconfitto. Essi non immaginavano la qualità superiore della risurrezione di Gesù per l’immortalità. Quello dunque che leggiamo degli apostoli ci riguarda, poiché noi abbiamo gli stessi peccati, le stesse resistenze. La nostra umanità corrotta pone una strenua resistenza alla fede, all’opera della salvezza di Cristo, alla sua opera di mutamento del nostro cuore: la parte spirituale, troppo determinata dalla parte umana, la carne, cioè quella corporeità che è frutto genetico e spirituale dei progenitori. Dunque la resistenza a credere e la durezza di cuore degli apostoli è ciò che precisamente la redenzione di Cristo vuole vincere. L’ingresso nell’anima per Cristo, ovvero l’apertura del cuore al suo tocco, è molto più difficile della risurrezione di un corpo. La materia, infatti, obbedisce perfettamente al comando del Signore, ma non i cuori degli uomini, poiché egli rispetta talmente la nostra libertà che ha bisogno, per suo decreto stesso del nostro consenso ad aprire il nostro cuore. La durezza di cuore è l’effetto del peccato e della natura umana così come l’abbiamo ereditata, ma è tale natura corrotta che il Signore vuole vincere, non con la forza, bensì con l’amore, con i suggerimenti, le ispirazioni, gli impulsi al bene, alla Luce, al Cielo. Chiama e torna a chiamare il Signore, per entrare nel cuore e farci capire con profondità, via via più grande, il costo della sua attenzione , della sua benevolenza, della sua misericordia verso di noi. Solo con la vicinanza stretta con lui infatti, possiamo comprendere ed accettare il prezzo che lui ha pagato per la salvezza della nostra anima. Così il Signore invita i suoi a incontrarlo in Galilea, ma non credono alle donne, non credono a quelli di Emmaus, allora appare loro, per rimproverarli e li sprona a credere, poi torna di nuovo per Tommaso, il più materialista e recalcitrante. Il Signore non appare per premiare la loro fede, ma per recuperarla loro fede fioca: essi, infatti, sono i chiamati come testimoni per il mondo intero della fede nel Risorto. Gesù, dunque, non li lascia in balia del loro peccato e li recupera là dove si trovano: seduti, anziché in cammino per seguirlo in obbedienza. Li rialza, li rimprovera, li guarisce, li perdona e dunque conferma la loro vocazione: questa è la sintesi della storia della redenzione dell’umanità, tutta, anche la nostra…

Dio vi benedica!

Don Gabriele Nanni

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